Dalla consapevolezza che ogni parola, ogni immagine e ogni contenuto ha il potere di costruire relazioni, di definire chi è parte di una storia e chi resta ai margini, nasce la comunicazione inclusiva, un linguaggio che non mira a descrivere la realtà, ma a plasmarla. Chi includere, chi ascoltare, chi rappresentare? Nel contesto web del 2025, il marketing B2B ha l’obbligo di puntare sempre di più sulla trasparenza, sull’etica e sulla coerenza. L’inclusività del linguaggio utilizzato, ma soprattutto le scelte responsabili e le iniziative concrete delle aziende, diventano perciò una leva strategica che influisce in modo tangibile sulla brand identity e sulla percezione del grande pubblico.
Red Apple, da oltre trent’anni al fianco delle aziende come agenzia di comunicazione e brand specislists, promuove da sempre un approccio alla comunicazione inclusiva che va oltre la superficie. La nostra idea non è solo quella di curare il linguaggio nei materiali digitali, ma anche di integrare principi di equità, accessibilità e rispetto in tutte le fasi del percorso comunicativo, dall’identità visiva ai contenuti editoriali fino agli strumenti interni e alla cultura aziendale. Specialmente nel mondo social del XXI secolo, dove niente può essere nascosto e tutto è messo in vetrina, non può esserci comunicazione veramente autentica se non è sostenuta da azioni concrete.
Negli ultimi anni si è parlato molto e con diverse accezioni di comunicazione inclusiva. Ma l’impressione, soprattutto nel mondo corporate, è che si sia trattato più di un’adesione estetica che di un impegno reale. In molti casi, infatti, l’inclusività è stata trattata non come l’espressione dei valori e della mission di un’impresa, ma come un trend da cavalcare: qualche post celebrativo, una modifica temporanea al logo, un messaggio generico sul rispetto delle diversità senza però mettere in campo nessuna iniziativa reale.
Ma il pubblico, oggi, non si accontenta più delle sole dichiarazioni. Clienti, fornitori, partner e talenti – anche e forse specialmente in ambito B2B – cercano la coerenza. Un brand che si dice inclusivo ma non ha processi, linguaggi e comportamenti allineati rischia di minare la propria credibilità. Al contrario, un’azienda che investe in comunicazione inclusiva in modo strutturato trasmette autorevolezza, etica, solidità e soprattutto costruisce relazioni basate sulla fiducia e sul rispetto, traendone giovamento in termini di immagine e di credibilità .
In Red Apple, parlare di comunicazione inclusiva significa affrontare un insieme articolato di scelte linguistiche, visive e organizzative. Il solo fatto di “non offendere” non è inclusività: si tratta piuttosto di coinvolgere attivamente tutte le persone, rendendo i contenuti accessibili, rappresentativi e riconoscibili.
A livello linguistico, questo si traduce nel preferire formule inclusive sul piano di genere (ad esempio, “la persona responsabile” invece di “il responsabile”), evitare stereotipi legati all’età, all’origine etnica, alla disabilità o all’orientamento sessuale, oltre a curare il tono di voce per garantire rispetto e parità. Alcune aziende utilizzano lo schwa (ə) per rendere neutri i termini, altre optano per forme collettive o impersonali. La scelta va calibrata in base al pubblico e al contesto, ma il principio guida resta uno: parlare a tuttə.
Poi c’è l’aspetto visivo. Le immagini scelte per brochure, siti, campagne e materiali aziendali non sono mai neutre. Chi compare in una foto rappresenta un’idea di normalità. Se quella normalità è sempre bianca, giovane, abile e conforme ai canoni dominanti, allora qualcosa non funziona. Le aziende che scelgono modelli e testimonial rappresentativi di reali diversità – culturali, generazionali, corporee – mandano un messaggio potente, ovvero che qui da noi c’è spazio per tutti.
Infine c’è l’accessibilità, un pilastro spesso sottovalutato nella comunicazione B2B. Un documento PDF non leggibile da un lettore vocale, un video senza sottotitoli o un sito con contrasti cromatici deboli sono aspetti che potrebbero portare all’esclusione di una fetta di pubblico. Garantire l’accesso ai contenuti a persone con disabilità sensoriali o cognitive invece non dovrebbe essere un “extra” o una gentile concessione, ma una responsabilità di tutte le imprese.
Se la comunicazione inclusiva si limita a uno stile grafico, non avrà riscontri particolarmente positivi dal pubblico. Se diventa parte integrante della strategia aziendale, invece, può generare valore reale anche – e soprattutto – nei mercati B2B.
Un primo ambito in cui l’inclusività fa la differenza è l’employer branding. Le aziende che comunicano apertura, rispetto e parità attirano talenti di qualità e costruiscono team più motivati. I professionisti, soprattutto le nuove generazioni, scelgono sempre più spesso luoghi di lavoro che rispecchiano i propri valori: una cultura inclusiva, supportata da una comunicazione coerente, diventa uno strumento decisivo per attrarre e trattenere persone brillanti.
Questo tipo di approccio ha poi un impatto diretto sulla reputazione: specialmente in ambienti dove le partnership si fondano sulla fiducia, mostrarsi coerenti e responsabili è un vantaggio competitivo. Una narrazione inclusiva trasmette affidabilità, apertura, visione, ma soprattutto distingue il brand in un mercato dove i valori contano quanto i numeri.
L’inclusività è anche, di per sé, leva di innovazione. Le aziende che ascoltano prospettive diverse e che danno spazio a voci multiple generano soluzioni più creative, adatte a contesti complessi e a una clientela estremamente eterogenea. La diversità, se valorizzata e integrata, diventa motore di trasformazione.
Infine, c’è un ritorno concreto in termini di accesso ai mercati. Fornitori pubblici, enti internazionali e clienti istituzionali richiedono sempre più spesso indicatori ESG, inclusività ed equità. Una comunicazione che rispecchia questi principi diventa un acceleratore nei processi di selezione e un facilitatore nelle relazioni commerciali.
Adottare una comunicazione inclusiva efficace, abbiamo detto, non vuol dire improvvisare qualche cambio di tono. Né vuol dire pubblicare qualche post in occasione di ricorrenze specifiche. Significa, invece, progettare un vero e proprio percorso all’interno della propria strategia di comunicazione. Un brand B2B che vuole davvero evolversi in questa direzione deve iniziare con un’analisi interna dei linguaggi usati, dei materiali istituzionali, del visual e dell’intera cultura aziendale. Serve, in sostanza, un audit completo che evidenzi aree critiche, punti di forza e possibilità di miglioramento.
Il passo successivo deve essere la formazione. I team marketing e comunicazione devono acquisire consapevolezza di bias linguistici, parole da evitare e modalità accessibili. Serve una guida di stile chiara e condivisa che aiuti a standardizzare i contenuti su tutti i canali.
Fondamentale è anche l’integrazione nei touchpoint aziendali. La comunicazione inclusiva non riguarda solo i post social o le campagne esterne, ma deve rientrare anche nelle newsletter, nei video, nelle brochure, nei materiali di vendita e nella modulistica interna.
Come ultimo passaggio è importante misurare. Come ogni strategia di comunicazione, una volta dichiarato l’intento è necessario monitorare i cambiamenti e le reazioni: engagement da pubblici diversi, feedback qualitativi e coerenza interna. Solo così la comunicazione inclusiva diventa un processo continuo, migliorabile e soprattutto strategico.
Una comunicazione inclusiva efficace si riconosce soprattutto fuori dai canali ufficiali, quando il linguaggio trova coerenza nei comportamenti e negli impegni pubblici dell’azienda.
A livello di comunicazione interna questo significa, ad esempio, rivedere i processi di selezione per garantire pari opportunità, costruire team eterogenei che riflettano la diversità sociale e culturale dei mercati e promuovere programmi interni di formazione su bias e linguaggio rispettoso. Significa anche dotarsi di policy chiare contro ogni forma di discriminazione e prevedere strumenti per la segnalazione di comportamenti inappropriati.
Chi vuole essere credibile verso il pubblico può invece, ad esempio, sostenere attivamente iniziative sociali dedicate all’inclusione lavorativa di persone con disabilità, partecipare a programmi di mentorship per professioniste underrepresented nei settori STEM, oppure stringere partnership con enti che promuovono l’integrazione culturale e la cittadinanza attiva.
Altri segnali concreti includono il finanziamento di borse di studio per giovani provenienti da contesti marginalizzati, la scelta consapevole di fornitori impegnati su temi ESG e l’organizzazione di eventi aziendali accessibili e progettati secondo criteri di equità (linguistica, fisica, digitale). Anche aprire i propri spazi – fisici o digitali – a testimonianze esterne, workshop interattivi, campagne condivise con associazioni può rafforzare l’impatto del messaggio. Oltre a rappresentare gesti significativi per la comunità, sono anche estensioni coerenti di una cultura aziendale che ha scelto di includere. Comunicare inclusività, infatti, ha senso solo se l’azienda è pronta e disposta a mettersi in discussione, a prendersi responsabilità e ad agire in modo concreto. Senza questo, ogni messaggio perde forza. Con questo, ogni parola diventa credibile.
Quando si parla di inclusione, il confine tra autenticità e strategia di “facciata” è sottile, ed è proprio lì che la maggior parte dei brand si gioca la credibilità.
C’è chi si limita a campagne celebrative, magari in occasione di giornate internazionali, salvo poi mantenere organici e leadership interamente omogenei. È il fenomeno del pinkwashing, quando si promuove l’uguaglianza di genere solo per tornaconto reputazionale. O del greenwashing, che presenta l’azienda come sostenibile mentre continua a operare in modo impattante.
Ma ci sono anche forme più sottili come il diversity-washing: dichiarare apertura e inclusività senza modificare realmente linguaggio, accessibilità, processi di selezione e cultura interna. In questi casi la comunicazione si rivela vuota, inefficace e persino dannosa per la propria immagine.
Più passano gli anni, più il pubblico riconosce sempre più chiaramente quando un messaggio è sincero e quando è costruito. Un brand che comunica inclusività ma non la pratica rischia di perdere fiducia, reputazione e valore.
In Red Apple sappiamo che la vera inclusività non si raggiunge con uno slogan, ma con scelte coerenti, strategie chiare e linguaggi consapevoli. È questo che offriamo alle aziende che ci scelgono: un supporto concreto per costruire una comunicazione inclusiva che sia espressione di una cultura aziendale reale.
Lavoriamo su ogni canale combinando design, copywriting, strategia e formazione. Analizziamo i contenuti esistenti, sviluppiamo piani editoriali accessibili e inclusivi e curiamo ogni dettaglio visivo e linguistico. E lo facciamo sempre con un obiettivo chiaro: aiutare le aziende a diventare non solo più visibili, ma soprattutto credibili.
Ogni trasformazione significativa inizia da una domanda semplice: “Dove siamo ora?”. Per Red Apple, la comunicazione inclusiva non può essere progettata senza prima osservare, ascoltare e analizzare. L’audit è, come sempre, il punto di partenza: esaminiamo i linguaggi interni ed esterni, i visual aziendali, i materiali marketing ma anche le dinamiche organizzative che li generano. Ci chiediamo chi parla, come parla, chi è rappresentato e chi no. Questa fotografia iniziale non serve a giudicare la realtà attuale, ma solo a capirla. Con un’analisi accurata, i nostri professionisti possono poi impostare un percorso coerente, misurabile e personalizzato, che rispecchi davvero l’identità e le ambizioni del brand.
Iniziare a parlare di inclusività senza fornire strumenti adeguati è come lanciare una campagna senza strategia. Per questo, Red Apple affianca le aziende con percorsi di formazione mirati: sessioni interattive che affrontano bias inconsci, scelte linguistiche consapevoli, accessibilità digitale e rappresentazione visiva. Non imponiamo regole, ma costruiamo consapevolezza per aiutare i team a scegliere i contenuti in autonomia. Da qui nasce la policy, una guida operativa che orienta tutte le azioni comunicative – dai post social ai materiali HR, dalle DEM al customer service – secondo principi chiari, condivisi e allineati alla cultura aziendale. Inclusività, per noi, significa prima di tutto cultura organizzativa.
Un errore comune è confinare la comunicazione inclusiva ad una campagna, a un evento o ad un contenuto isolato. Red Apple lavora invece su molti aspetti differenti, perché ogni elemento – da una brochure a una landing page – contribuisce a formare la percezione del brand. L’obiettivo è rendere l’inclusività visibile, coerente e soprattutto naturale. Progettiamo layout, testi curati anche sotto il profilo linguistico-inclusivo e identità visive che rappresentano la diversità reale. Inseriamo queste scelte nel flusso continuo della comunicazione aziendale, perché l’inclusione non sia un’eccezione, ma uno standard. E perché ogni punto di contatto con il pubblico diventi anche un punto di ascolto.
Come ogni strategia, anche quella inclusiva ha bisogno di KPI chiari, di indicatori affidabili e di feedback strutturati. Red Apple aiuta le aziende a stabilire parametri concreti: tassi di engagement dei contenuti inclusivi, varietà delle rappresentazioni nelle campagne, accessibilità tecnica dei materiali e percezione del brand presso pubblici diversi. Offriamo strumenti per raccogliere insight e creare report periodici, ma anche momenti di verifica qualitativa con stakeholder interni ed esterni. Questo approccio consente di trasformare la comunicazione inclusiva in un processo evolutivo e flessibile. Perché l’inclusività, come ogni valore, ha bisogno di essere allenata e perfezionata nel tempo.
Adottare una comunicazione inclusiva non è un gesto simbolico, né un esercizio stilistico né un favore fatto a comunità che rappresentano minoranze. È una scelta strategica che riflette la cultura di un’azienda e la sua visione del mondo. Oggi, i brand più credibili sono quelli che sanno coniugare linguaggio e azione, narrazione e responsabilità, visione e coerenza. Non basta dire “includiamo”: bisogna dimostrarlo, ogni giorno e in ogni parola.
Red Apple accompagna le aziende in questo percorso con un approccio concreto, multidisciplinare e progettuale. Perché l’inclusività non si improvvisa, ma si può costruire e imparare, oltre che accettare. E una comunicazione che include davvero non è solo più giusta, è anche più efficace, più forte e più umana. Ed è da lì che cominciano le relazioni che contano davvero.